Anatomia di un rallentamento
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Con l’inizio dell’ultimo mese del primo trimestre, gli investitori andranno alla ricerca di risposte certe sulla salute dell’economia dell’eurozona. È stato ampiamente pubblicizzato che un rallentamento nel 2019 sembra piuttosto probabile e il fatto non è oggetto di dibattito. La domanda è: che tipo di rallentamento dovrebbero aspettarsi gli investitori?
La Commissione europea (CE) ha recentemente pubblicato le proprie proiezioni, che sono risultate sostanzialmente in linea con le previsioni di consenso. Per il 2019 la CE prevede una diminuzione di mezzo punto percentuale della crescita del PIL, che si porterà al +1,3%, un livello essenzialmente in linea con il +1,4% stimato dagli economisti. All’interno delle proiezioni di questi ultimi vi sono stime che si collocano sotto la soglia del +1,0%, con il dato più basso che si attesta al +0,8%. È intervenuta anche la Banca centrale europea (BCE), ridimensionando le proprie prospettive di crescita al +1,1% a fronte del +1,7% indicato durante la riunione di politica monetaria della scorsa settimana.
Grafico 1: Indice dei responsabili degli acquisti dell’eurozona (PMI)
Fonte: Bloomberg, al 22 febbraio 2018.
I risultati passati non sono indicativi di quelli futuri e il valore di un investimento può aumentare così come diminuire. Non è possibile investire direttamente in un indice.
È interessante notare che il quadro a livello nazionale non è particolarmente incoraggiante. Il prodotto interno lordo (PIL) dell’eurozona è cresciuto solo dello 0,2% nel quarto trimestre, in linea con il dato del terzo trimestre, sottolineando l’effettivo rallentamento in atto. Tuttavia, i dati davvero deludenti hanno riguardato la Germania: 0,0% nel quarto trimestre e -0,2% nel terzo. Con questi risultati, l’economia tedesca ha mancato di pochissimo una recessione tecnica. L’Italia non è stata altrettanto fortunata e ha fatto registrare una crescita negativa in entrambi i trimestri.
A questo punto non prevediamo ancora una vera e propria recessione per l’eurozona nel 2019. Un indicatore economico chiave che continueremo a monitorare sono i PMI mensili. A febbraio il dato “flash” del PMI Composite dell’eurozona è salito leggermente a 51,4 dal livello di 51,0 del mese precedente, segnando il primo rialzo da agosto dello scorso anno. Di norma l’interruzione di una tendenza al ribasso sarebbe considerata modestamente incoraggiante. Tuttavia, esaminiamo più approfonditamente questo indicatore economico. Il dato del PMI Composite è costituito in realtà da due componenti sottostanti, una relativa al settore manifatturiero e l’altra al comparto dei servizi. Come evidenzia il grafico a corredo, queste due componenti sottostanti si sono mosse in direzioni diverse nel mese di febbraio. Il PMI dei servizi si è portato su un massimo mensile di 52,3, mentre il settore manifatturiero ha perso nuovamente terreno, scendendo sotto la soglia di 50 (il valore considerato uno spartiacque tra espansione e contrazione) fino a 49,2, il livello più basso da giugno 2013.
A livello nazionale, i PMI Composite di Francia e Germania sono aumentati entrambi. Tuttavia, mentre i dati di produzione e servizi per la Francia sono risultati entrambi superiori a quelli di gennaio, quelli relativi alla Germania hanno evidenziato un andamento divergente come nel caso dell’eurozona, con la produzione manifatturiera che è scesa su un minimo di 47,6.
Conclusioni
L’aumento del PMI dell’eurozona fa sperare che quest’anno si riesca a evitare una recessione, sempre che l’indice non inverta la rotta nei mesi a venire. Tuttavia, non si può negare che è in atto un marcato rallentamento della crescita economica causato dalla debolezza del settore manifatturiero. Questo contesto macroeconomico dovrebbe impedire alla BCE di aumentare i tassi nel 2019, un punto che gli esponenti dell’istituto hanno voluto sottolineare riformulando la propria forward guidance, secondo la quale adesso i tassi rimarranno invariati “almeno per tutto il 2019” e non più “per tutta l’estate”.
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