Chi pagherà la guerra al Covid-19?
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Il 28 settembre 1918, nonostante le avvisaglie di un virus mortale in circolazione, si svolge nella città di Filadelfia una parata militare (la Liberty Loan parade) per incoraggiare i cittadini ad acquistare obbligazioni di guerra per finanziare l’intervento americano nella Prima guerra mondiale. Purtroppo migliaia di abitanti morirono poiché il virus si diffuse tra la folla che esortava i cittadini a comprare i titoli per fornire sostegno economico alle nostre truppe.
Oggi stiamo combattendo una “guerra contro il Covid-19”, una guerra che costerà migliaia di miliardi di dollari, un importo molte volte superiore a quello della partecipazione americana alla “Grande Guerra”; eppure non ci sono parate, rally obbligazionari né sollecitazioni di alcun tipo affinché il popolo acquisti bond “anti-coronavirus” per finanziare gli interventi volti a fermare questa pandemia. Non è stato chiesto a nessun americano di contribuire con un penny di tasse in più alle migliaia di miliardi di dollari necessari al sostentamento dell’economia statunitense. Di fatto, il governo sta riducendo le tasse e mettendo non le mani, ma miliardi di dollari nelle tasche di chi è stato danneggiato dalla sospensione delle attività economiche. Come possiamo permetterci di regalare migliaia di miliardi di dollari se non viene chiesto a nessuno di finanziare questo esborso?
Risposta: la nostra banca centrale, la Federal Reserve (Fed), sta acquistando tutte le obbligazioni che il Tesoro sta vendendo per finanziare la guerra al Covid-19. La banca centrale sta accreditando sul conto del Tesoro e delle banche centinaia di miliardi di dollari da distribuire ai disoccupati, alle aziende costrette a chiudere, agli ospedali sotto assedio e alle autorità statali e locali in difficoltà. Questo nuovo denaro è tecnicamente “garantito” dai titoli del Tesoro, ma questi titoli non pagano di fatto alcun interesse e non si prospetta la possibilità di un loro futuro rimborso.
L’impatto della creazione di liquidità
Questo enorme incremento di liquidità non sarà privo di conseguenze: la storia dimostra che l’aumento del denaro creato dal nulla causa inevitabilmente inflazione, con implicazioni drammatiche sia per la nostra economia che per i mercati finanziari.
Nel 1918 la neonata Fed non poteva emettere moneta in mancanza di oro che la garantisse e non disponeva neppure lontanamente dell’oro sufficiente per acquistare le obbligazioni di guerra. Il governo aumentò le tasse, ma dovette finanziare il resto degli sforzi bellici indebitandosi con i risparmiatori statunitensi e, per legge, la banca centrale non poteva essere una fonte di finanziamenti per il governo.
Circa 60 anni prima della Grande Guerra, il Presidente Lincoln affrontò lo stesso dilemma: il governo era sprovvisto del denaro necessario per finanziare la guerra civile e l’Unione era costretta ad emettere “greenback”, moneta deprezzata che non era garantita dall’oro e finì per essere quotata al 50% rispetto alla moneta vera, garantita dal metallo prezioso. L’inflazione crebbe e raggiunse rapidamente la doppia cifra; dopo la fine della guerra civile, ci vollero altri 13 anni prima che il governo riuscisse finalmente a rimborsare in oro tutto il greenback.
Tuttavia non ci sarà alcun rimborso monetario dopo la guerra al Covid 19: il sistema aureo è ormai un lontano ricordo, essendo stato abolito una prima volta dall’amministrazione Roosevelt all’inizio della Grande depressione e, infine, dal Presidente Nixon nel 1971. Oggi le banche centrali possono creare senza limitazioni tutta la liquidità che vogliono; a fine marzo il presidente della Fed Powell ha dichiarato che la banca centrale avrebbe acquistato obbligazioni governative “nella quantità necessaria” per stabilizzare il mercato.
Già mi immagino lo scherno di chi criticherà le mie previsioni relative all’inflazione, osservando che anche Bernanke si era attivato per acquistare quantità ingenti di obbligazioni durante e dopo la crisi finanziaria del 2008-2009, ma quell’intervento era riuscito solo a increspare a malapena la curva dell’inflazione.
Tuttavia i bond acquistati dalla Fed durante la crisi finanziaria sono andati a finire (sotto forma di riserve eccedenti) nel sistema bancario, non nelle tasche dei privati e delle imprese, e tali riserve non sono mai state prestate al pubblico. Il loro aumento avrebbe dovuto creare una sorta di cuscinetto per le banche e dissuaderle dal chiedere il rimborso dei prestiti per evitare il rischio di intralciare la nostra ripresa. Gli interventi della Fed hanno effettivamente conseguito il loro obiettivo: il nostro sistema bancario presenta una capitalizzazione di gran lunga superiore a quella del 2008 e ha brillantemente superato la crisi.
Ciò che sta succedendo in questo periodo è totalmente diverso da quel che è avvenuto durante la crisi finanziaria. Gli economisti monetari, con il premio Nobel Milton Friedman in testa, avevano segnalato che la creazione di riserve eccedenti da parte della banca centrale, di per sé, ha un impatto modesto sulla spesa, ma il denaro versato nelle tasche o accreditato sui conti bancari dei consumatori e delle imprese (che Friedman ha ribattezzato M1 e M2) ha ben altro effetto, ed è questo il denaro che viene attualmente creato.
I dati recenti sono premonitori
I dati monetari più recenti pubblicati dalla Fed sono sorprendenti: solo nelle ultime due settimane la massa monetaria M1 è già cresciuta di 368 miliardi di dollari, un importo superiore all’aumento complessivo riscontrato nelle 52 settimane precedenti. In termini percentuali quest’impennata equivale all’incirca all’aumento totale di M1 in tutto l’anno successivo alla crisi della Lehman, aumento cui hanno concorso tutti i prestiti d’emergenza e l’allentamento quantitativo della Fed, il Troubled Asset Relief Program (Programma di salvataggio di attività a rischio) del governo federale e altri provvedimenti.
La creazione di denaro cui stiamo assistendo rappresenta solo l’inizio: i programmi attuali prevedono il trasferimento al pubblico di centinaia di miliardi di dollari in più per sostenere il potere d’acquisto. Quando verrà sviluppata una terapia o un vaccino efficace e finirà la repressione della domanda, questo aumento di liquidità stimolerà infatti una forte espansione economica, ma trascinerà anche l’inflazione a livelli molto più alti di quelli riscontrati negli ultimi anni.
È possibile evitare quest’impennata dell’inflazione? Il Congresso può alzare bruscamente i tassi, ridurre le entrate delle aziende e dei consumatori e la Fed potrebbe rivendere al pubblico alcune delle sue cospicue posizioni in obbligazioni per ridurre la massa monetaria. In alternativa, la stessa Fed potrebbe far salire alle stelle i tassi di interesse e contrarre sia gli investimenti che la spesa dipendente dalla concessione di credito oppure (e questa è la mia previsione) potrebbe lasciare che l’inflazione aumenti: ciò determinerebbe un incremento di gran lunga più moderato dei tassi di interesse e costituirebbe politicamente la linea di minor resistenza. Non sto prevedendo un’iperinflazione: sto parlando di un’inflazione del 3-4% che durerà per parecchi anni, prima che i prezzi si calmino. Molti usciranno vincitori da questo scenario: grazie a una forte crescita economica e a una robusta domanda di manodopera, le retribuzioni saranno più che in grado di tenere il passo dell’inflazione, a tutto vantaggio di chi ha contratto prestiti con tassi bloccati a valori più bassi, mentre l’incremento delle vendite permetterà alle aziende di aumentare i prezzi.
Ci rimetterà invece chi farà assegnamento su fonti di reddito che non reggeranno il ritmo del tasso d’inflazione (la maggior parte degli obbligazionisti ne sarà particolarmente danneggiata). L’aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse porrà termine alla fase rialzista quasi quarantennale dei titoli obbligazionari, un periodo che ha visto scendere i tassi di interesse dal 20% circa a zero. L’inflazione finirà per ridurre il valore reale della liquidità creata dalla Fed, traghettando l’economia verso una nuova situazione di equilibrio non inflazionistico.
A differenza di un secolo fa, oggi gli americani non si faranno in quattro per acquistare titoli di Stato allo scopo di finanziare l’attuale salvataggio economico, ma ogni cosa ha il suo prezzo: la “guerra al Covid-19” verrà pagata da chi detiene strumenti monetari il cui valore sarà eroso dall’imminente inflazione.
Nonostante l'utilizzo della prima persona plurale, le opinioni espresse in questo post sono quelle di Jeremy J. Siegel e non rispecchiano necessariamente quelle di WisdomTree Europe.
Jeremy J. Siegel, Senior Investment Strategy Advisor di WisdomTree, è titolare della cattedra di finanza “Russell E. Palmer” presso la Wharton School dell’Università della Pennsylvania. Il professor Siegel ha scritto e tenuto numerose lezioni di economia e mercati finanziari e i suoi articoli sono regolarmente pubblicati dai mezzi di informazione finanziaria. Nel 1994 ha ricevuto dalla rivista BusinessWeek la valutazione più alta nella graduatoria della qualità didattica, superando gli altri professori delle scuole di economia. Il suo libro Stocks for the Long Run (Rendimenti finanziari e strategie d'investimento. I titoli azionari nel lungo periodo) è stato nominato dal Washington Post tra le 10 guide all’investimento migliori di tutti i tempi. Il suo ultimo libro, The Future for Investors (Il futuro per gli investitori), è un best seller.