S&P 500 o S&P 5? (Parte 2) - Quale impatto avrebbe la normalizzazione dei titoli tecnologici sui portafogli azionari?
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Recentemente si è scritto molto a proposito della concentrazione eccezionale ai vertici dell’S&P 500 e dei titoli tecnologici. In questo articolo suddiviso in due parti vogliamo prima di tutto esaminare i fattori trainanti e l’impatto di tale concentrazione, per poi focalizzarci sulle potenziali conseguenze per gli investimenti azionari statunitensi nel medio-lungo termine.
Nella prima parte ci siamo soffermati sull’S&P 500 in sé; in questa seconda parte vedremo l’impatto di questa concentrazione sugli investimenti azionari statunitensi non ponderati per la capitalizzazione dei mercati, come le strategie sul reddito e quelle orientate alla qualità.
Riconsiderando i primi 9 mesi del 2020, osserviamo che:
• questa fase rialzista di mercato per i titoli tecnologici non ha influito sulle strategie allo stesso modo perché:
- i fattori Growth e Momentum ne hanno particolarmente beneficiato;
- le strategie sul reddito, quelle orientate al valore e le small cap ne hanno invece fortemente risentito;
- il fattore Quality si è destreggiato bene in questa situazione, uscendone relativamente indenne.
• Nel 2020 le aziende che non distribuiscono dividendi hanno avuto un impatto sproporzionato sull’S&P e ciò ha danneggiato le strategie sul reddito in misura quasi direttamente proporzionale al rendimento dei loro dividendi.
In un'ottica futura, se osserviamo una mean reversion per la concentrazione dell’indice, i ruoli potrebbero scambiarsi e, di conseguenza, l’inversione potrebbe penalizzare maggiormente il fattore Growth, avvantaggiando per contro le strategie orientate al reddito o al valore.
In un'ottica futura, se osserviamo una mean reversion per la concentrazione dell’indice, i ruoli potrebbero scambiarsi e, di conseguenza, l’inversione potrebbe penalizzare maggiormente il fattore Growth, avvantaggiando per contro le strategie orientate al reddito o al valore.
Non tutti i portafogli azionari sono concentrati come l’S&P 500
Alla fine di settembre Apple, Microsoft, Amazon, Facebook e Alphabet rappresentavano il 21% dell’S&P 500; come indicato nella figura 1, questa concentrazione non è comune a tutti i fattori azionari. Momentum e (in misura ancora maggiore) Growth denotano un investimento considerevole in questi 5 titoli. Sull’altro lato del grafico, però, i fattori High Dividend, Value o Size non sono stati investiti in nessuno di questi titoli perché, rispettivamente, hanno dividendi troppo bassi, sono troppo costosi e di dimensioni troppo grandi. A metà strada, Quality ha evidenziato un investimento discreto senza raggiungere la concentrazione dell’S&P 500.
Figura 1: Ponderazioni di Apple, Microsoft, Amazon, Facebook e Alphabet nei diversi indici dei fattori azionari statunitensi
Fonte: WisdomTree, Bloomberg. Dati al 16 ottobre 2020. Le definizioni di ciascun fattore sono riportate in fondo all'articolo.
La prestazione storica non è un’indicazione della prestazione futura e qualsiasi investimento può perdere di valore.
Considerando la performance dall’inizio dell’anno di questi fattori azionari, sembra che ci sia una relazione diretta tra la ponderazione nelle 5 azioni principali e tale performance. La figura 2 mostra il contributo di questi 5 titoli alla sovraperformance e alla sottoperformance dei fattori azionari rispetto all’S&P 500.
Non sorprende che Momentum e Growth abbiano ottenuto i risultati migliori dall’inizio del 2020, sovraperformando l’indice S&P 500 del 13,3% e del 22,8%1 rispettivamente. Il fattore Growth, per esempio, si è avvalso di un contributo pari al 7,56% delle mega cap, che rappresenta una sovraperformance dell’8,3% rispetto al loro contributo per l’indice S&P 500.
I fattori Value e High Dividend, non essendo esposti alle mega cap tecnologiche, hanno realizzato le prestazioni peggiori, con sottoperformance del -21,1% e del -13,4%1 rispettivamente nei confronti dell’indice S&P 500. La loro assenza di esposizione su questi titoli significa che, al pari del fattore Size, non hanno beneficiato minimamente del contributo dell’8,35% offerto dai suddetti titoli all’indice S&P 500, cominciando fondamentalmente l’anno con un handicap del -8,35%.
Anche in questo caso troviamo a metà strada il fattore Quality, con una lieve sottoperformance del -1.6%1 (ossia un aumento del 7,8% dall’inizio dell’anno contro il 9,5% ottenuto dall’S&P 500). Se guardiamo il contributo alla sottoperformance dei 5 titoli principali, notiamo Quality ha accusato un contributo negativo del -3,57%; ciò significa che, per quanto riguarda il resto di tale fattore, il portafoglio ha registrato una sottoperformance del 2% rispetto all’indice S&P 500.
Perciò, prevedendo una potenziale mean reversion dei titoli azionari statunitensi e del loro impatto sull’S&P 500 (che abbiamo trattato la settimana scorsa), è logico che in futuro i ruoli possano scambiarsi a vantaggio dei fattori High Dividend, Size o Value e a scapito di Momentum e, in particolare, di Growth. Abbiamo già parlato ampiamente del fattore Quality in altri articoli e pubblicazioni, sottolineando la sua capacità di comportarsi stabilmente in tutti i contesti di mercato. Nel caso presente sembra che questo fattore si trovi una volta di più a metà strada, senza avvantaggiarsi né risentire più di tanto per via della recente corsa dei titoli tecnologici; pertanto dovrebbe resistere sia a una prosecuzione che a un’inversione di questa tendenza.
In un certo senso, Quality è la soluzione “per tutte le stagioni”, mentre High Dividend, Size o Value indicherebbero più esplicitamente l’aspettativa di una mean reversion dello squilibrio tra Growth e Value.
L’impatto sproporzionato sull’S&P 500 delle aziende che non hanno distribuito dividendi
Un’altra angolazione interessante da cui osservare l’impatto del comparto tecnologico sulla performance delle azioni statunitensi dall’inizio dell’anno è rappresentata dal confronto tra le aziende che distribuiscono dividendi e quelle che non li distribuiscono. Storicamente, da quando è stato realizzato l’indice S&P 500, ossia dal 1957, le aziende che non distribuiscono dividendi sono relativamente rare e tendono a realizzare performance negative rispetto alle altre azioni, ma questo trend non si è mantenuto nel tempo: rispetto all’inizio dell’anno, le aziende che non distribuiscono dividendi hanno contributo per il 6% alla performance del 9.45%1 realizzata dall’indice S&P 500 (ossia er il 63% del totale), tenendo conto che la ponderazione media delle imprese che non hanno distribuito dividendi negli ultimi 12 mesi era pari al 20,5%. Se diamo un'occhiata a queste aziende, troviamo nomi familiari tra quelle che hanno contribuito maggiormente alla prestazione dell’indice S&P 500: Amazon (+2,4%) Facebook (+0,55%), PayPal (+0,51%), Netflix (+0,4%), Salesforce (+0,35), Adobe (+0,32%), Alphabet (+0,49% in entrambe le borse su cui è quotata)...
Come si è detto in precedenza, questo si è tradotto in un anno difficile per tutte le strategie orientate al reddito in relazione alle azioni statunitensi. Nella figura 3 vediamo una serie di strategie di questo tipo e notiamo che nel 2020 hanno tutte registrato sottoperformance considerevoli rispetto all’indice S&P 500. Ciò che colpisce di più è la presenza di una relazione quasi lineare tra il rendimento dei dividendi dell’indice e la performance dall’inizio dell’anno: maggiore è tale rendimento, peggiore è il risultato. Questo mostra chiaramente il forte impatto del divario riscontrato quest’anno tra le aziende che distribuiscono e quelle che non distribuiscono dividendi.
Figura 3: Performance dall’inizio dell’anno di diverse strategie orientate al reddito in relazione ai titoli azionari statunitensi
Osserviamo che, analogamente ad approcci alla qualità più classici, la ponderazione attuale dei 5 titoli azionari mega nella strategia è pari al 12,5% ed è pertanto nettamente inferiore alla ponderazione nell’S&P 500, ma non così bassa come nel caso di altre strategie.
Rispetto all’inizio dell’anno, l’indice si è comportato bene nonostante si concentri sulle aziende che distribuiscono dividendi ed è salito del 7.84%1 questo significa che ha sottoperformato dell’1,6% rispetto all’S&P 500. Quanto alle 5 azioni mega, il loro contribuito alla performance della strategia è stato negativo (-3,34%) rispetto all’S&P 500, ossia più del doppio rispetto alla sottoperformance della strategia nei confronti del benchmark.
Uno sguardo al WisdomTree US Equity Income UCITS Index
L’approccio di WisdomTree al reddito e all’High Dividend ruotava intorno a un portafoglio ponderato in base ai fondamentali e costituito da società che distribuiscono dividenti elevati e filtrate in base al rischio.
Notiamo che in questa strategia, analogamente ad altre strategie classiche ad alto reddito, la ponderazione attuale per i 5 titoli azionari mega è pari a zero. Apple e Microsoft sono infatti titoli con dividendi bassi, mentre Facebook e Amazon non li distribuiscono neppure.
Rispetto all’inizio dell’anno, l’indice è sceso (-13,8%)3, registrando perciò una sottoperformance considerevole (del 23,2%) rispetto all’S&P 500. Per quanto riguarda le 5 azioni mega, abbiamo già visto che il loro contribuito alla performance della strategia è stato negativo (-8,35%) rispetto all’S&P 500.
Min Vol (volatilità minima) è rappresentata dall’MSCI USA Min Volatility total return index. Quality (qualità) è rappresentata dall’MSCI USA Quality Sector Neutral total return index. High Dividend (alto dividendo) è rappresentato dall’MSCI USA High Dividend total return index. Value (valore) è rappresentato dall’MSCI USA Enhanced Value total return index. Momentum è rappresentato dall’MSCI USA Momentum total return index. Growth (crescita) è rappresentata dall’MSCI USA Growth total return index. Size (dimensione) è rappresentata dall’MSCI USA Small Cap total return index.
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